16 ottobre 1943

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la deportazione degli ebrei di Roma

 

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26 settembre 1943

L'oro di Roma

Durante l'occupazione di Roma i tedeschi obbligarono la comunit? ebraica a raccogliere e consegnare 50 chili d'oro.

Una via di salvezza?

L’intento delle S.S. nei confronti degli ebrei romani fu innanzitutto quello di non insospettirli e di proporre una via di salvezza in cambio di un contropartita in oro. Fino alla fine di settembre, furono lasciati piuttosto tranquilli nelle loro abitazioni, tanto che, scriveva poi il presidente della Comunità Israelitica di Roma Ugo Foà, «cominciava a farsi strada nel loro animo la speranza che gli eccessi dei quali nelle altre terre precedentemente invase dagli eserciti germanici i loro fratelli di fede erano stati vittime non avrebbero avuto a ripetersi a Roma».

Poi, il mattino del 26 settembre 1943 l'autorità di P.S. italiana invitò lo stesso Foà ed il Presidente delle Comunità Israelitiche italiane, Dante Almansi, a recarsi nel pomeriggio, per comunicazioni, nell'ufficio del Comandante della polizia tedesca di Roma Herbert Kappler. Questi, in un primo momento, si intrattenne in una cortese conversazione a carattere generale, quindi, cambiando del tutto comportamento disse: « Noi tedeschi vi consideriamo unicamente ebrei e come tali nostri nemici, […] i peggiori nemici contro i quali stiamo combattendo».

Le parole di Kappler dovettero gelare il sangue dei due dirigenti della Comunità ebraica, almeno fino al momento in cui il capo della Gestapo non prospettò una via di salvezza. «Non abbiamo bisogno delle vostre vite, né di quelle dei vostri figli, abbiamo bisogno invece del vostro oro. Entro trentasei ore voi dovete versare cinquanta chilogrammi di oro altrimenti duecento ebrei saranno presi e deportati in Germania». 50 chili di oro entro 36 ore, che, in parte, potevano essere sostituiti da dollari o sterline, ma non da lire («di lire possiamo stamparne quante ce ne servono», affermò Kappler).

50 chili d'oro in 36 ore

I due presidenti, dopo aver cercato invano di ridurre la richiesta di oro, si congedarono. Convocata una riunione con gli esponenti più influenti della Comunità, venne subito scartata l'idea di rivolgersi alla polizia italiana in quanto s'era compreso che nulla potesse fare per indurre i tedeschi ad un diverso comportamento. Si stabilì pertanto di aderire alla richiesta onde evitare mali peggiori.

Foà e Almansi disperavano di poterlo trovare in così poco tempo, poiché la Comunità romana non era certo ricca, soprattutto dopo le conseguenze disastrose del conflitto. Ad ogni modo, portarono a conoscenza della maggior parte degli ebrei residenti a Roma la richiesta tedesca e, in poco tempo, pervenne un'offerta di oggetti d’oro i quali spesso, specialmente quando si trattava di persone non abbienti, costituivano cari ricordi di famiglia. Anche molti cattolici offrirono oggetti con grande slancio di solidarietà. Alcuni non potendo versare dell'oro, contribuirono con denaro. La Santa Sede, venuta a conoscenza del fatto, face sapere spontaneamente in via ufficiosa che, qualora non fosse stato possibile raccogliere entro il termine stabilito l'oro richiesto, avrebbe messo a disposizione la differenza che le sarebbe stata rimborsata quando la Comunità ebraica fosse stata in grado di farlo.

Poco prima della scadenza delle trentasei ore, in uno slancio di generosità dei romani, vennero raccolti ottanta chilogrammi del prezioso metallo e 2.021.540 lire. I trenta chilogrammi avanzati furono nascosti e, alla fine della guerra, furono versati per finanziare la nascita dello Stato di Israele.

La pesatura dell'oro

Per ragioni di sicurezza il Presidente della Comunità Israelitica chiese alla polizia italiana una scorta durante il trasporto al comando della polizia tedesca. Fu così che il brigadiere Oreste Vincenti e la guardia Vincenzo Piccolo si unirono a Foà e Almansi, nonché a Marco Limentani, Giuseppe Gay, Settimio Gori e Angelo Anticoli in qualità di uomini di fatica. Chiuse il gruppo il Commissario Cappa, in incognito, pregato da Foà di presenziare all’atto del versamento perché ne fosse testimone.

Ai cinquanta chilogrammi di oro ne vennero aggiunti trecento grammi nel caso fossero sorte contestazioni.

I due presidenti vennero ricevuti nella sede delle S.S. di Via Tasso dal sostituto di Kappler, cap. Schutz, il quale, con maniere arroganti, diede disposizioni per la pesatura dell'oro, effettuata con una bilancia della portata di cinque chili. Ultimata la pesatura, con l’esclusione di circa duecento grammi rimasti come residuo, il cap. Schutz cercò di dimostrare che le pesate erano state nove e che, pertanto, il peso complessivo raggiunto fosse di quarantacinque chilogrammi, anziché di cinquanta come avrebbe dovuto essere. Gli ebrei sostennero con sicurezza che le pesate erano state dieci, ma, per evitare equivoci, chiesero si rinnovassero le pesate. Schutz rispose che si rifiutava di ripetere le pesate. I due presidenti pregarono vivamente l' ufficiale tedesco perché venissero ripetute le pesate e, solo dopo molte insistenze, riuscirono a fare ripesare l'oro, che risultò pesare cinquanta chilogrammi come essi sostenevano. Provarono quindi a richiedere il rilascio di una ricevuta attestante l'effettuato versamento, ma il cap. Schutz non acconsentì.

I cinquanta chilogrammi d’oro vennero messi in una cassa ed alcuni giorni dopo a mezzo di un ufficiale delle S.S. che rientrava a Berlino, furono inviati da Kappler a Kaltenbrunner, capo dell’ufficio centrale per la sicurezza del Reich,  con una lettera nella quale era spiegato il motivo della rimessa. La cassa d’oro, a dire di Kappler, nell'inverno 1945 si trovava ancora nell'ufficio di Kaltenbrunner.

Il saccheggio del ghetto

Gli ebrei si fidarono dei nazisti ma già il giorno successivo alla consegna dell’oro, il 28 settembre, diversi militari delle S.S. tra i quali alcuni esperti di lingua ebraica, perquisirono i locali del Tempio Maggiore degli ebrei ed esportarono numerosi documenti e la somma di 2.021.540 lire, che era custodita nella cassaforte. A capo di questi militari era un capitano, il cui cognome sembra fosse Mayer.

Ancora, nei giorni successivi, ufficiali delle S.S., dei quali uno in divisa di capitano si qualificò per professore di lingua ebraica, visitarono la biblioteca della Comunità ebraica e quella del Collegio Rabbinico allo scopo dichiarato di sequestrarne i volumi.

I Presidenti della Comunità israelitica e dell'Unione delle Comunità si rivolsero subito al Ministero della P.I., chiedendo un intervento onde evitare il saccheggio dei volumi delle due biblioteche, che avevano un valore nazionale di grande rilievo. In una delle lettere indirizzate al Ministero scrissero fra l'altro: «Trattasi di pregevolissimo materiale archivistico (manoscritti, incunaboli, soncinati, stampe orientali del 500, interessanti esemplari di libri ebraici, etc.) che furono anche oggetto, alcuni anni or sono, di scelta e catalogazione fatta da un esperto in materia e che costituiscono un complesso di notevole importanza culturale, del quale, ove le disposizioni delle autorità tedesche, che evidentemente intendono asportare tutto il prezioso materiale archivistico in Germania, fossero attuate, l'Italia verrebbe ad essere privata».

II Ministero non riuscì ad attuare un intervento efficace presso le autorità tedesche. Furono così depredati quasi tutti i volumi della preziosissima biblioteca della sinagoga e, caricati su due carri ferroviari, vennero spediti a Monaco.

Nei giorni successivi il ghetto fu spogliato di tutte le sostanze materiali rimaste. Il 13 ottobre era il termine ultimo che i tedeschi si erano posti come termine finale del piano di liquidazione del quartiere romano. Il 16 avviarono le deportazioni.

Tags: Roma, ghetto, antisemitismo, deportazione, fascismo, occupazione nazista, Vaticano

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